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Nomi, cognomi e soprannomi Un tempo veniva dialettizzato persino il cognome. Gli anziani ricorderanno il buon dun Bùla (don Bolla), dalle tasche piene di dolciumi simpaticamente «rapinati» ai negozianti e donati ad ogni bambino incontrato per strada. Altri esempi: Bottacchi diventava Butàch; Casalini, Casalìn; Cerutti, Cérüti; Guilizzoni, Guilinzùn; Lodi, Lòdig; Lodigiani, Ludésàn; Monchini, Munchìn; Ottone, Lutùn; Provera, Pruéra; Scotti, Scòtis; suor Amata, suora màta, cioè matta.
Molti intresi avevano un soprannome, purtroppo trasmesso ai figli. Il figlio del Làzar diventava Lazarìn; il figlio del Mulèta (arrotino), Mulètìn. Il Capélumèt era un negoziante di confezioni; nel giorno di mercato si metteva sulla porta della bottega invitando i passanti con: U vö cumpràa un bèl capél, umèt? Il Caghinmàn era un facchino del porto così soprannominato dopo aver defecato sulle mani per una scommessa (sic) e il Giuàn da Trubàs un barbone benvoluto da tutti, a differenza del Patavùncia (patta unta). Nel primo Novecento un gruppo di buontemponi aveva composto una canzoncina, su un'aria della «Vedova Allegra», dedicata ai soprannomi di ragazze di facili costumi. Ecco un frammento: «Sàlta fòra la Palanzòta (pallanzese) e la Macübina (patita per un tabacco da fiuto detto macübin) / Cun la Lümàga (con la Lumaca) e la Busìna (proveniente dal varesotto) / La Cavandùn e la Panscìn d'or (pancino d'oro) / Cui giuvinòt i fan l'amùr / E anca si ciàpan di bot / i gan la pèl tàme un tambùr! (anche se vengono malmenate hanno la pelle dura)». Altre donnine allegre erano la Bèla dadré (bella di schiena), la Scarpaöc (strappaocchi), la Làbar d’or (labbra d'oro), la Rizulìn (ricciolina) e la Scagnèt (sgabello, per via delle gambe corte). In paese veniva a stabilirsi un sardo? Era subito battezzato «Brigata Sassari»; un altro, di bassa statura, durante la guerra produceva artigianalmente un surrogato di sapone partendo da chissà quali materie prime: era inevitabile diventasse il Saunìn (Saponcino).
Avevano un soprannome anche cose inanimate. Per la sua taglia boteriana, il donnone del Monumento ai Caduti di Intra diventò la balia dal san Carlùn d'Arùna, la gigantesca statua di S. Carlo Borromeo che sorge sopra Arona. Era chiamato Böc (Buco) uno slargo in via del Mulino. Con il termine Sasònia non si indicava il Land tedesco bensì, essendo sterrata, la piazza del Macello. E’ famosa la canzone «La stàva in Sasònia dadré (dietro) dal macèl»… Altri soprannomi derivavano da qualche caratteristica o dal mestiere esercitato dal poveretto, come Baidìn (contadino); Balunìn (palloncino); Canàpia (nasone); Ménagràm (iettatore); Mèzadunèta (effeminato); Mulèta (arrotino); Pésciolìni; Pétàsc (scoreggione); Pol da Süna (Leopoldo? Paul?) Sègiàt (venditore di secchi); Stria (strega); Timùn (timone); Tricü (ciccione); Tèstarügina (dai capelli rossi). Pépìn Bulàca era un poveraccio che campava raccogliendo nelle strade i bulàch (sterco di cavallo) per venderle come concime. Quando i vigili urbani si chiamavano guardie di città, il vigile Rigogliosi, piuttosto in carne, era conosciuto da tutti come la Guardia Grasa, mentre il vigile Esposito, dal corpo scheletrico, era la Guardia Magra. Il traffico automobilistico, prima della seconda guerra mondiale, era inesistente e le guardie si limitavano a multare i ciclisti sprovvisti di gèma (catarifrangente) sul parafango posteriore, oppure sorpresi a pedalare nelle strade vietate al transito delle biciclette. |